Durante la guerra tra la Repubblica Veneta e la Lega di Cambray, che culminò con l'assedio di Padova del 1509, molti padovani patteggiarono per l'imperatore, e furono banditi e dichiarati ribelli quando Venezia vinse la guerra: Nel 1510 il Senato Veneto pose ogni cura per entrare in possesso dei beni mobili ed immobili già confiscati ai ribelli, e inviò a Padova due magistrati Giovanni Trevisan e Marco Loredan con l'incarico di eseguire le più accurate ricerche sui beni predetti, e di compiere perquisizioni in diversi conventi dove si sapeva che erano nascosti oggetti appartenenti ai ribelli. Queste perquisizioni però vennero eseguite con molta lentezza e non portarono gran utile, perché molti tra i più preziosi oggetti furono ritirati in tempo dai parenti o dagli amici dei fuorusciti. Qualche cosa però i due commissari riuscirono a sequestrare e di quegli oggetti fecero regolare inventario, il quale esiste ancora negli Archivi di Venezia. Nel convento di S. Stefano (oggi Ginnasio-Liceo in Riviera Tito Livio) sequestrarono due casse. una appartenente a Faustina moglie del conte Gerolamo Borromeo l'altra ad Alessandra moglie di Lodovico Conte. Entrambe le casse contenevano ricche vesti. Nel convento di S. Maria di Betlemme trovarono una cassa di Pataro Buzzacarini, fratello dell'abadessa, e due di Caterina Beraldo, ed in quello di S. Pietro diverse casse di Francesco dall'Orologio, dei fratelli Da Ponte e della famiglia Bagarotto. In quanto ai beni stabili vennero più facilmente sequestrati e venduti in fretta perché Venezia stremata dalla guerra aveva bisogno di denaro. Quando venne l'amnistia nel 1529, in base al trattato tra l'imperatore Carlo Vela Repubblica Veneta, non essendo possibile la restituzione dei beni già venduti. la Repubblica pagò a quei fuorusciti o loro eredi la somma annua di 5000 ducati d'oro.
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